dokita

honduras dokita

HONDURAS – IL DIRITTO DI RICOSTRUIRSI UN FUTURO

Dokita lavora in Honduras da oltre dieci anni, una tra le organizzazioni umanitarie che opera da più tempo nel paese. L’Honduras è un paese che versa in una situazione di estrema povertà tanto da essere al 132° posto nella lista dei paesi per sviluppo umano, avanti solo ad Haiti nel continente americano (indice comparativo dello sviluppo dei vari paesi calcolato tenendo conto dei diversi tassi di aspettativa di vita, istruzione e reddito nazionale lordo pro capite, divenuto uno strumento standard per misurare il benessere di un paese).

Inoltre l’Honduras ha anche un alto tasso di omicidi. Circa 40 per 100.000 abitanti, ovvero più di 4.000 vittime di morte violenta ogni anno. La violenza, purtroppo, prospera nei contesti in cui c’è forte povertà, molteplicità di problemi sociali, mancanza di lavoro, forte corruzione e grandi violazioni di diritti umani.

Negli anni Dokita ha realizzato progetti finanziati da Caritas e Chiesa Valdese per formare donne e giovani in attività produttive, ed ha appoggiato il centro Don Bosco, nella periferia della capitale Tegucigalpa in un’area ad alta incidenza criminale e di forte coinvolgimento dei giovani in bande chiamate maras, vere e proprie organizzazioni mafiose molto sanguinarie.

La storia recente ci ha mostrato come, di fronte alla violenza criminale lo Stato abbia risposto con altrettanta violenza e spesso violando gli elementari diritti umani della popolazione. Non è un caso che varie associazioni siano attive per supportare azioni volte al rafforzamento dello stato di diritto e per il rispetto dei diritti umani. Nel 2011 l’Unione Europea ha appoggiato Dokita con un progetto pluriannuale di formazione professionale a donne recluse nel carcere di Tegucigalpa e nello stesso tempo migliorare la situazione di diritti che sarebbero dovuti già essere riconosciuti all’interno della struttura.

Da qualche mese Dokita ha concluso un importante progetto sul miglioramento dell’accesso alla giustizia di gruppi più vulnerabili. Abbiamo lavorato per migliorare le condizioni di vita e per il rispetto delle tutele dei detenuti appoggiando anche le differenti pastorali carcerarie della Caritas. Il progetto, cofinanziato dall’Istituto Italiano per l’America Latina, si è concluso con molto successo nel 2020 e si rivolgeva soprattutto ai giovani in conflitto con la legge. Oltre ad aver costruito un modulo abitativo per i giovani residenti del Centro di Jalteva, abbiamo fornito l’attrezzatura per un laboratorio di panetteria e un altro di formazione professionale. Inoltre, assieme all’Istituto Nazionale per la Gioventù Infrattora (INAMI), è stato realizzato un protocollo di attenzione per gli operatori in modo da salvaguardare i diritti dei giovani e proiettare il periodo di privazione della libertà in un momento riabilitativo e formativo e non solo un inutile castigo.

Negli anni abbiamo organizzato una rete di organizzazioni che collaborano per la preparazione di una proposta di legge sulla giustizia restaurativa da presentare in Parlamento, cosi come l’organizzazione di corsi e formazioni a funzionari.

Da oltre un anno stiamo realizzando il progetto JUSTAMENTE Riforma del sistema penale minorile e modelli innovativi di prevenzione terziaria per la diffusione della cultura riparativa in Honduras finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo in consorzio con la ONG MLAL, Fondazione Don Calabria e Antigone. Questo progetto appoggia il sistema di giustizia minorile cercando di migliorare i meccanismi di attenzione ai giovani e promuove pratiche alternative alla detenzione. Stiamo organizzando corsi di specializzazione in giustizia penale minorile per giudici, difensori pubblici e polizia e sono previste tante altre attività a favore di questi giovani svantaggiati. Il progetto si concluderà nel 2022 e si estenderà su tutto il territorio nazionale. Dokita è diventato un punto di riferimento in questo ambito e collabora con molte istituzioni del governo come INAMI e Conaprev (comitato nazionale contro la tortura) e con organismi non governativi come il CPTRT (Centro contro la tortura).

Come se non bastasse, la pandemia di coronavirus non ha risparmiato l’Honduras, infatti le restrizioni – dato che molte famiglie vivono di un’economia informale e di piccoli ricavi giornalieri – hanno provocato importanti danni economici riducendo alla povertà vari settori della popolazione. La percentuale di decessi, rispetto a tante altre nazioni resta più basso, superando di poco i 4000 su una popolazione di 9 milioni di abitanti.

Anche per i ragazzi con cui lavoriamo il disagio è stato grosso. Per ragioni di sicurezza sanitaria le visite dei familiari sono state sospese, ma fortunatamente il ministero di giustizia ha deciso di far tornare a casa, dalle proprie famiglie, circa la metà dei giovani reclusi, riducendo così il numero di detenuti a poco più di 200. Grazie a queste strette misure messe in atto i centri pedagogici nei quali lavoriamo non hanno registrato contagi.

 

PERÙ, IL RACCONTO DELLA NOSTRA COOPERANTE

Dokita dal 2002 in Perù si è concentrata principalmente sulla realizzazione di azioni di sostegno socio-educativo nella provincia di Huarochiri, in particolare a Santa Eulalia. In queste zone la maggior parte delle famiglie è sostenuta da attività agricole e zootecniche. Il basso tasso di scolarizzazione e l’alta percentuale di disoccupazione nella zona, ha aumentato esponenzialmente il tasso di povertà. Tante famiglie sono state costrette a migrare dalla città alle comunità rurali o a cercare sostegno attraverso l’aiuto delle organizzazioni.

Noi del team Dokita in Perù, abbiamo potuto vedere con i nostri occhi le dinamiche che hanno spinto queste famiglie a cambiare vita alla ricerca di un reddito minimo che permetta la loro sussistenza familiare. È triste e scioccante sentire le testimonianze di bambini che raccontano le ore di cammino che devono fare quotidianamente in mezzo alle montagne, tra pioggia e freddo, con l’unico obiettivo di raggiungere l’aula per imparare a leggere e scrivere. Ci troviamo di fronte ad una realtà che non è riflessa negli indici economici che il Perù mostra al mondo, c’è un Perù pieno di bisogni, un Perù che ha bisogno di grande collaborazione affinché la popolazione non sia colpita da fame, malnutrizione, anemia e altre malattie.

Durante questo periodo di emergenza abbiamo chiesto a Angela Castañeda, nostra cooperante in Perù per sapere come i bambini e le famiglie stanno vivendo questa delicata situazione.


Angela raccontaci in cosa consiste il progetto che Dokita ha realizzato in Perù ?

Un caro saluto a tutti i lettori e sostenitori di Dokita. Voglio subito ringraziarvi di cuore per l’aiuto che ci date e che ci permettete di dare a tante persone meno fortunate. Tutti i beneficiari, dopo aver ricevuto il nostro supporto, ci ringraziano attraverso un gesto o un sorriso di gratitudine. Una gioia che vale la pena ricevere dopo il lavoro, la pianificazione e lo stress legato agli sposatmenti.
In Perù, in particolare nell’area urbana di Santa Eulalia e nella valle circostante – che comprende 22 villaggi montani – in stretta collaborazione con la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione, Dokita ha costruito il centro IDEAL (Instituciòn de Desarrollo Alternativo Laboral) all’interno del quale vengono gestiti corsi di formazione professionale, di integrazione sociale/lavorativa per gruppi vulnerabili e vengono offerti diversi progetti educativi che negli anni hanno raggiunto più di 5.000 soggetti a rischio.
Queste aree, isolate dai grandi centri urbani, sono caratterizzate da un estremo tasso di povertà e vulnerabilità che rendono impossibile per la popolazione accedere ai servizi primari.
Dal 2011, Dokita è presente nel paese con una propria sede nella città di Lima.

Come ha influito l’emergenza Covid?

La pandemia covid-19 si è fatta sentire in Perù all’inizio di marzo e dopo qualche ora il governo ha decretato subito lo stato di emergenza sanitaria a livello nazionale, a partire dal 16 marzo 2020, imponendo l’isolamento sociale e limitando i diritti delle persone in materia di mobilità e vita sociale. Inoltre i confini sono stati chiusi sia per i peruviani che per gli stranieri.
Come in Italia, al fine di mitigare gli effetti e la diffusione della pandemia, sono state limitate le attività economiche, ad eccezione di quelle essenziali, ossia quelle legate al cibo, alle forniture mediche, al personale sanitario e alle forze dell’ordine pubblico. A giugno il Governo ha poi avviato un piano di riattivazione economica che ha progressivamente autorizzato diverse attività a riprendere le proprie funzioni, aderendo e accreditando l’attuazione dei protocolli di sicurezza.
A causa dell’elevato aumento della disoccupazione, le famiglie che abitavano abitualmente in città sono state costrette a rientrare nelle loro comunità contadine dove le condizioni di alloggio, cibo e istruzione non sono sempre soddisfatte.
Il Ministero dell’Istruzione, da marzo ad oggi, ha sospeso le lezioni frontali a livello nazionale, che sono state sostituite da classi virtuali. Purtroppo questa tipologia di gestione non è fattibile nelle zone in cui opera Dokita, a causa delle difficoltà di connettività esistenti nelle zone rurali.
In questo scenario, durante gran parte del periodo di pandemia, lo sviluppo delle attività nella provincia di Huarochiri è diminuito.
Fino al 21 novembre 2020 ci sono stati quasi 950.000 contagiati, di cui circa 870.000 già dimessi e 35.000 purtroppo deceduti.

Sappiamo che in Perù viene data molto importanza a “La giornata dei bambini”. Come sono andati i festeggiamenti quest’anno?

Il Congresso della Repubblica del Perù, con una legge del 2002, aveva scelto la seconda domenica di aprile come data ufficiale per festeggiare “La Giornata dei Bambini” ma successivamente è stato stabilito che si sarebbe festeggiata la “terza domenica di agosto”, che è la data in cui si festeggiano in generale tutti i bambini.

Lo scorso Agosto, visto lo stato di emergenza, le diverse istituzioni pubbliche e private non hanno sviluppato le attività di celebrazione. Le norme stabilite dal governo non consentivano assembramenti, così ogni famiglia ha celebrato la festa nell’intimità del proprio nucleo familiare. Solitamente i festeggiamenti si svolgono con massicce attività organizzate nei comuni che, oltre a celebrare i bambini del Perù, consentono di promuovere e sensibilizzare la società al benessere e ai diritti dei bambini nel mondo.

Approfitto di questa domanda per sottolineare che, nonostante le attuali avversità, dobbiamo essere consapevoli che i bambini sono il futuro del Perù. Il futuro del paese dipende da loro ed ecco perché, secondo me, ogni giorno dell’anno dovrebbe essere la Giornata dei Bambini.

 

 

In questi mesi il centro IDEAL ha messo a disposizione il suo personale, i suoi spazi e le sue competenze per essere d’aiuto alla popolazione locale. La speranza è che la situazione in Perù e nel mondo migliori presto e che il centro torni a fornire tutti i servizi che svolge ormai da anni. Inutile dire che la crisi ha fatto diminuire i fondi da poter inviare su questo ormai stabile progetto e per questo vi chiediamo di continuare ad aprire il vostro cuore scegliendo di sostenerci. Farlo significa dare respiro alle famiglie a basso reddito, aiutare bambini e adolescenti che mostrano ogni volta gioia ed emozione nel ricevere piccole attenzioni dal nostro personale. Vuol dire dimostrare con azioni concrete che la generosità e la gentilezza delle persone esiste.

 

Congo

R.D. CONGO, UNA SITUAZIONE COMPLICATA

L’EMERGENZA NELL’EMERGENZA

In Congo torna l’incubo Ebola. È la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a diffondere la notizia, sottolineando che “Il Coronavirus non è l’unica minaccia”. Il Paese che continua ad essere bloccato, rischia di dover convivere con tre virus letali: Covid-19, Ebola e Morbillo. Ogni ritardo e ogni ostacolo dovuto al Covid aumenta il rischio che anche le altre malattie continuino a diffondersi, uccidendo sempre più persone.

In diversi paesi dell’Africa Subsahariana il Covid-19 ha creato un’emergenza nell’emergenza. Nella Repubblica Democratica del Congo negli ultimi giorni sono state riscontrate un’epidemia di morbillo ed un focolaio di Ebola.

La ricerca di misure preventive per ridurre al minimo la diffusione di Covid-19 è fondamentale per proteggere le comunità e gli operatori sanitari in un Paese in cui il sistema sanitario è molto fragile e la popolazione estremamente vulnerabile. Abbiamo visto tutti come in pochi giorni la pandemia abbia quasi portato alla saturazione il sistema sanitario italiano. Quanto tempo ci vorrebbe per portare al collasso le strutture sanitarie presenti in Congo? Dokita ha avviato un progetto finanziato dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) che prevede l’invio di dispositivi di protezione individuale e attrezzature mediche nella città di Kinshasa.

Negli ultimi mesi abbiamo vissuto uno dei periodi più difficili, particolari e tristi degli ultimi cento anni. Siamo stati costretti a restare in casa per il bene nostro e per quello comune, abbiamo fatto sacrifici per tenere al sicuro le persone più vulnerabili e fragili, molti di noi hanno visto morire parenti ai quali non è stato possibile porgere l’ultimo saluto. Il bollettino delle 18 era diventato l’appuntamento fisso che ci forniva i numeri della pandemia, mostrandoci la violenza di questo pericoloso virus. È stata dura, pian piano ne stiamo uscendo, ma nel mondo la situazione resta tragica.

In Congo, seguire le regole che noi Italiani abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi mesi non è affatto semplice:

  • “Restare a casa” è un privilegio per ricchi, dato che molti sono costretti ad uscire per assicurarsi i beni primari;
  • il “Distanziamento sociale” in una metropoli come Kinshasa, con più di 17.000.000 di abitanti e una densità di popolazione di quasi 2000 abitanti per km², è pressoché impossibile;
  • “Lavarsi le mani di frequente” in un paese in cui, anche nella capitale, solo il 30% della popolazione ha accesso all’acqua, non è affatto scontato e spesso significa rinunciare a bere.

La Repubblica Democratica del Congo, come la maggior parte degli stati africani, consapevole della scarsissima rete di servizi sanitari e di strumentazioni ospedaliere è subito corsa ai ripari con misure di contenimento decisamente drastiche. Misure che ovviamente hanno aggravato ancora di più la situazione economica e sociale del Paese, già di per sè drammatica. Da metà giugno nella capitale Kinshasa – epicentro della pandemia di coronavirus nel paese – il governo ha iniziato ad allentare le suddette misure. Durante il lockdown potevano spostarsi esclusivamente gli operatori sanitari e solo una piccola parte degli esercizi essenziali ha potuto proseguire la propria attività.

Le scuole, immediatamente interrotte, hanno ripreso solo per le classi che dovevano sostenere gli esami e dovrebbero ripartire tra settembre e ottobre con il nuovo anno scolastico.
Attualmente la situazione Covid-19 nel paese è meno grave del previsto ma, come sappiamo, con il coronavirus non si scherza ed abbassare la guardia potrebbe essere pericolosissimo.

Dai dati riportarti dalla sede Dokita nella Repubblica Democratica del Congo a metà Luglio si contavano oltre 8000 casi e più di 180 decessi.
Dokita, come molti di voi lettori sapranno, è in RDC dai primi anni 90 con vari programmi tra i quali: l’orfanotrofio Pere Monti che si trova a Kinshasa, attraverso il quale contribuiamo al miglioramento delle condizioni di vita e delle opportunità di inserimento socio-culturale di circa 150 minori a rischio nell’area urbana e il Centro ospedaliero Ngondo Maria, una struttura sanitaria materno infantile situata a Makala sempre nel distretto della capitale, che dal 2006 effettua decine di migliaia di prestazioni l’anno tra visite di medicina generale, prenatale e post natale, medicazioni, analisi cliniche, distribuzione di farmaci e degenza per oltre 100 letti.

Nell’ultimo anno all’interno dell’ospedale è stata realizzata anche una camera mortuaria, importantissima per concedere un rito funebre nel rispetto delle tradizioni e delle norme igienico-sanitarie.

Per quanto concerne l’emergenza Covid-19, Dokita Onlus, grazie al finanziamento dei sostenitori, della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e della Congregazione dei figli dell’Immacolata concezione (CFIC) – sta distribuendo mascherine per il personale sanitario e per i pazienti, guanti, occhiali protettivi, schermi per viso, stivali, grembiuli, gel idroalcolico e sapone liquido (litri). Inoltre per i pazienti ricoverati abbiamo fornito attrezzature per ossigenoterapia, termometri a infrarossi, bombole e concentratori di ossigeno.

Stiamo facendo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per frenare, in una zona così fragile, l’avanzata di un virus che sta continuando a minacciare il mondo intero. Tutto questo possiamo continuare a farlo grazie a voi, nella speranza che nel più breve tempo possibile il coronavirus diventi soltanto un brutto ricordo.

SOSTIENICI ORA E PERMETTICI DI AGIRE TEMPESTIVAMENTE

Con 35€ fornisci mascherine a 10 famiglie
Con 52€ fornisci sapone e disinfettanti a 5 famiglie
Con 85€ fornisci kit igienici completi a 10 famiglie

brasile covid19
Feature

BRASILE: L’EMERGENZA COVID-19 ORA SI È SPOSTATA IN AMERICA LATINA.

IN BRASILE IL VIRUS SI STA DIFFONDENDO CON UNA VELOCITÀ SPAVENTOSA. NEL MESE DI LUGLIO SI SONO REGISTRATI QUASI 2.000.000 DI CASI POSITIVI E PIÙ DI 70.000 MORTI.

Sono ormai più di 70.000* le vittime di Covid-19 in Brasile, uno dei Paesi al mondo più duramente colpiti dalla pandemia. La situazione in Brasile è critica: a metà luglio era il secondo paese al mondo per numero di contagi e morti da Coronavirus. Secondo gli scienziati la situazione potrebbe peggiorare, sia per i pochi test che vengono somministrati alla popolazione, sia per la situazione di estrema povertà che vivono, circa 14 milioni di Brasiliani, nelle favelas.

Dokita è presente da molti anni nella favela Vila Morenitas a Foz do Iguaçu e in questo momento di grande emergenza sanitaria per il paese, sta aiutando la popolazione offrendo supporto alle persone in difficoltà attraverso la distribuzione di beni di prima necessità e dispositivi di protezione individuale.

L’emergenza Covid19 purtroppo non accenna a placarsi. Se in Europa la situazione sta pian piano migliorando, non possiamo dire lo stesso per il resto del mondo, soprattutto in America Latina. Il paese che sta dando maggiore preoccupazione è il Brasile. Il Brasile a metà luglio era il secondo paese al mondo, dietro gli Stati Uniti, per numero di casi positivi accertati: dall’inizio della pandemia sono quasi 2.000.000 i casi positivi con più di 70.000 decessi. Questi sono solo i dati ufficiali, ma secondo osservatori e scienziati i numeri reali sono sicuramente più alti in quanto le principali città stanno diffondendo giornalmente dei bollettini con il numero di contagi, che però spesso non contengono dati aggiornati provenienti dalle favelas, dove, come è noto, anche lo Stato fa fatica a avere il quadro chiaro della situazione.


EMERGENZA FAVELAS

In Brasile ci sono 14 milioni di persone che vivono nelle favelas, quartieri poveri e densamente popolati delle principali città, dove la carenza di servizi igienici e sanitari, dovuti alla mancanza di idonei sistemi idrici e fognari, sono la triste normalità. Per gli abitanti delle favelas rispettare le principali misure preventive raccomandate dall’OMS, come il distanziamento sociale e lavarsi spesso le mani, per evitare il contagio da Covid-19, è pressoché impossibile vista la mancanza di acqua e l’assembramento abitativo. Anche dal punto di vista economico la pandemia sta causando problemi enormi, soprattutto per i lavoratori, per lo più informali, delle favelas. Secondo un’indagine realizzata dall’Istituto Data Favelas, a causa della quarantena un abitante su tre delle favelas avrà nei prossimi mesi difficoltà a comprare prodotti di prima necessità, come i generi alimentari.

L’IMPEGNO DI DOKITA

Molte sono le attività che volontari hanno iniziato a fare nelle favelas delle città. Anche Dokita, attraverso Padre Gioacchino e i ragazzi del CAIA (Centro di Attenzione Integrale all’Adolescente), sta aiutando la popolazione della favela Vila Morenitas, nel quartiere di Porto Meira, con la distribuzione di beni di prima necessità, dispositivi di protezione individuale come mascherine e gel disinfettanti. In questi giorni abbiamo contattato Padre Gioacchino a Foz do Iguacu per sapere come i ragazzi del CAIA stanno vivendo questa situazione di emergenza e con l’occasione gli abbiamo chiesto di parlarci del CAIA e delle sue attività e del contributo di Dokita allo sviluppo del CAIA.

Padre Gioacchino ci parli del Centro di Attenzione Integrale per gli Adolescenti (CAIA) e delle attività svolte dai ragazzi che frequentano il centro.

Il CAIA venne creato nel settembre del 2010 e si rivolgeva inizialmente ai ragazzi di Porto Meira, un quartiere caratterizzato da alti tassi di criminalità e omicidi. I ragazzi che frequentano il nostro centro appartengono a famiglie con reddito pro capite inferiore al salario minimo e la condizione economica è la prima causa che li porta a cercare una fonte di entrate alternative, come contrabbando, traffico di droga e sfruttamento sessuale. Con legami familiari così fragili e la ricerca di migliori condizioni finanziarie, i bambini e, soprattutto, gli adolescenti finiscono spesso per essere attratti dalle attività informali e illecite e questo ostacola il loro percorso di apprendimento, causando tassi di abbandono scolastico molto alti. Il lavoro sviluppato dal CAIA, gestito come uno strumento socio-educativo, consente di migliorare la qualità della vita degli adolescenti, insieme alle loro famiglie e a diffondere nuovi concetti di istruzione, cittadinanza e occupabilità, attraverso percorsi di formazione professionale, inserimento lavorativo, ma anche attività sportive, culturali, sociali e di svago.

Dokita ha contribuito allo sviluppo del CAIA, costruendo tra l’altro l’edificio principale dove si svolgono le attività, e ancora oggi supporta il CAIA e i missionari della CFIC impegnati in Brasile. Ci parli brevemente della sua esperienza con Dokita.

Il CAIA e la stessa Sociedade Civil Nossa Senhora Aparecida (SCNSA), che è l’Ente associativo no profit che gestisce il CAIA, così come la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione (CFIC), hanno sempre apprezzato la storica collaborazione con DOKITA, e il supporto finanziario e metodologico ricevuto è stato fondamentale per la crescita e lo sviluppo di quasi tutti i progetti della CFIC Brasile e della SCNSA. Io, personalmente, ho sempre avuto una relazione estremamente positiva e produttiva, con la Direzione di Dokita e con tutti i suoi collaboratori, a cui va il nostro ringraziamento.

Da poco si è concluso un progetto di Dokita finanziato dalla Caritas Italiana per il potenziamento dei corsi di informatica all’interno del CAIA. Ci parli un po’ delle attività, dei risultati ottenuti.

Il finanziamento di questo progetto ci ha permesso di organizzare e sviluppare dei corsi di informatica in cui è stato possibile fornire a ben 116 giovani studenti, strumenti e percorsi formativi aggiornati per poter utilizzare le possibilità offerte dalla tecnologia come supporto all’istruzione. Offrendo questi corsi di informatica abbiamo potuto introdurre i nostri utenti all’uso del pacchetto Office, dei principali browser e all’uso consapevole dei social network. Inoltre, abbiamo potuto acquistare apparecchiature informatiche per attrezzare una sala informatica che sarà utile anche per altri corsi e per tutti i ragazzi che frequentano il CAIA.

Il Brasile ora sta affrontando la pandemia Covid che ha colpito duramente la popolazione, in particolare quella più povera. Ci racconti la situazione a Foz do Iguaçu e come il CAIA sta sostenendo gli abitanti della favela attraverso aiuti o attività per contenere l’epidemia.

Anche la città di Foz do Iguaçu ha dovuto affrontare il problema della pandemia in modo abbastanza pesante ed ogni settore si è organizzato per affrontare questo grande problema. Noi del CAIA stiamo aiutando la popolazione attraverso la consegna di ceste alimentari con l’obiettivo di alleviare gli impatti causati dall’isolamento sociale, che ha lasciato disoccupate migliaia di persone.

Abbiamo già consegnato oltre 10.000 ceste alimentari e molti dispositivi di protezione individuali. È stato creato anche un servizio WhatsApp attivo 24 ore su 24 per dare consulenze e informazioni utili sul Coronavirus. La nostra presenza è stata ed è ancora attualmente essenziale per tutto il quartiere di Porto Meira.

In questi mesi di emergenza COVID-19 il CAIA ha messo a disposizione il suo personale, i suoi spazi e le sue competenze per essere d’aiuto alla popolazione della favela. La situazione però sta peggiorando e Padre Gioacchino sta chiedendo un aiuto per il suo centro e la popolazione della favela Vila Morenitas poter fronteggiare al meglio questa pandemia.

SOSTIENI SUBITO